Ora che piove come da un po’ non pioveva, ti vorrei qui con me.
La prosa di questa lacrimante notte di novembre non so quanto sia lenta, quanto pericolosa all’abbandono: in cielo una ragnatela si disegna di corpuscoli, fermi dalla terra verso le nuvole, eppure non si scioglie né coagula – cade intera, dolce ancora e avventurosa, rimbomba sul balcone sulle ringhiere e rimbomberà di certo alle finestre e dal lato del mare o del lago poco si distinguerà; ma l’occhio vigile vi scorge una ramurosa striscia di bagliori d’automobili, barche, vecchi fari ormai dimenticati, docili fantasie.
Ti vorrei accanto ascoltando i tuoi fianchi sapienti inarcarsi in un respiro trattenuto da un lampo, sollevarsi piano e poi discendere, forse lasciando un’ombra lieve sul vetro col naso incuriosito di bambina che non smette il mistero per l’esperienza, che ha la freschezza in cuore e labbra un po’ incurvate dai suoi anni – non seguiresti le macchine e guardando chiederesti alle orecchie di spiegare un identico respiro della pioggia dopo gli attimi in attesa qui al balcone, al buio dei lampioni giù di sotto e rare luci della città lontana.
Sulle tue guance il calore farebbe silenzio.
Certo se aspetti, più dubbioso viene quando dimentichi infine ogni senso con l’abitudine – ed ecco viene più pronto il silenzio quando non comprendiamo che col cuore: resteremmo in silenzio perché una gioia è sempre più mite di un dolore, e avresti il buon profumo di chi vergognoso si ritrae e cede il passo, di chi attende senza malizia, di chi ha paura di abusare.
M’avresti accompagnato sulla pioggia, ed adesso ti vorrei adesso lentamente qui con me.